Propongo qui una pagina dello psicologo francese Marc-Alain Descamps, a proposito della cosiddetta somatofobia, la paura del corpo. Le sue osservazioni sono interessanti e aiutano a comprendere le ragioni profonde che stanno alla base della vergogna per il nostro corpo, in particolare quando esso è nudo. Va da sé che il nudismo è il più potente antidoto contro questa vera e propria fobia, giacché comporta una piena rivalutazione del nostro corpo nella sua interezza, conferendo eguale dignità a tutte le sue parti.
Sotto il profilo etimologico, la somatofobia è l’odio nei confronti del corpo, in primo luogo del proprio corpo e, secondariamente, di quello degli altri. Essa va considerata come una vera propria fobia, ossia come una manifestazione di nevrosi ossessiva o, secondo la terminologia freudiana, di “isteria d’angoscia”.
Il tratto più caratteristico di questa nevrosi è dunque l’odio per il corpo, o si dovrebbe piuttosto chiamarlo anticorporeismo o misosomatismo. È una perversione assai diffusa nell’ambito della nostra civiltà. Essa è tanto fortemente giustificata da un punto di vista razionale, che per molto tempo è stata considerata come uno dei valori della nostra società. Analizzerò qui brevemente le sue varie componenti.
La distinzione fra anima e corpo o, se si preferisce, fra spirito e corpo, rappresenta la rottura dell’unità psicosomatica della persona umana. Si tratta di una distinzione perfettamente legittima, come tutte le distinzioni, ma essa ha portato a una vera e propria separazione. Si possono fare legittimamente distinzioni anche nell’ambito del corpo umano, come per esempio fra la parte destra e la parte sinistra, così come si distingue il fronte e il retro di un foglio. Ma come si può avere un fronte senza un retro? Si contrappone di continuo l’anima al corpo come se ciascuna di queste parti avesse i suoi desideri, la sua volontà, le sue passioni. Insomma, si è dovuto concepire lo spirito come dotato di un corpo (angelico o glorioso, ma pur sempre un corpo), mentre il corpo, separato arbitrariamente dallo spirito, finisce per riacquistare una “psiche corporale”.
A questa separazione dualista fa seguito una ingiusta divisione: lo spirito è concepito come buono, il corpo come cattivo. Radicalmente, fondamentalmente, nella sua essenza, il corpo è viziato, imperfetto e conserva la traccia del peccato originale. Lo spirito, al contrario, è concepito come puro, giusto e incline al bene. Le tendenze negative non possono che provenire dal corpo. È lui la fonte del male, il tentatore. Il corpo è dunque diabolico, mentre lo spirito corrisponde al divino. Dalla corruzione del corpo derivano la lussuria, l’accidia, la gola, l’ira… È qui che si trova la grande distinzione, antica e universale, tra il puro e l’impuro. Per estensione, l’impuro è diventato il corporale. Tutto ciò che è legato al corpo è sporco e impuro, che siano le evacuazioni corporali o, più semplicemente, gli starnuti, gli sputi, i colpi di tosse…
Ne deriva il disprezzo del corpo, in quanto inferiore. Il corpo è subordinato allo spirito. Dev’essere dominato, indirizzato, soggiogato: sono tutte immagini che ricordano l’addestramento degli animali. Il corpo è dunque un animale, è l’animalità nell’uomo. Lo stigma che l’uomo porta su di sé sono le parti vergognose (pudenda). Ogni brutalità deriva dal corpo. Lo spirito, invece, è considerato come essenzialmente umano, civilizzato e talvolta divino. Perciò la morale consiste essenzialmente nel far sì che il corpo obbedisca allo spirito.
Il corpo è considerato non soltanto intellettualmente spregevole, ma anche affettivamente disgustoso. La sporcizia è sia fisica che morale. Da qui tutte le tecniche di pulizia e di purificazione corporale che sono state elaborate dalle religioni, dalla morale, dalla medicina, dall’educazione, etc. Il corpo è talmente ripugnante che non deve mai essere scoperto. La ripugnanza conduce agli insulti. E così incontriamo nei nostri scrittori una serie di aggettivi qualificativi riferiti al corpo: abietto, vergognoso, ignobile, infame, detestabile. Beninteso, questi insulti sono riferiti a tutto ciò che partecipa della natura corporale: la donna tentatrice dell’uomo, i selvaggi privi di anima, gli animali disgustosi e diabolici, la terra e tutto ciò che essa produce. E così, questo odio per il corpo si manifesta attraverso una vera e propria persecuzione.
Una paura terribile si nasconde in realtà dietro questo odio profondo per il corpo. Se il corpo ispira repulsione, è perché lo si teme. Questa repulsione, in effetti, appare immotivata ed eccessiva. In taluni casi essa si sviluppa in una grave ansia di confrontarsi con il proprio corpo. Si ritiene che esso sia responsabile di tutti i peccati, e non solo delle tentazioni della carne.
La storia della somatofobia è un filo rosso che percorre gran parte della storia dell’Occidente. Possiamo risalire fino a Zarathustra e alla religione dualista degli antichi Persiani, con il dio del bene Ahura Mazda e il dio del male Angra Mainyu. E alla loro eterna lotta che divide il mondo intero in due: il giorno e la notte, il puro e l’impuro, l’anima e il corpo, il maschio e la femmina… Queste idee si ritrovano anche in Platone, che considera il corpo come un sarcofago dell’anima, e poi in San Paolo, che inventa la nozione di “carne”.
Marc-Alain Descamps, Ce corps haï et adoré, Paris: Sand, 1988.