Vorrei iniziare i miei articoli su questo blog, riportando alcuni passaggi della motivazione della recente sentenza pronunciata dal Giudice di Pace di Ravenna, con la quale un uomo sorpreso a prendere il sole completamente nudo sulla spiaggia è stato assolto dall’accusa di reato di cui all’art. 726 del codice penale (Atti contrari alla pubblica decenza) perché «il fatto non sussiste».
Dopo essersi posto la domanda se lo stare nudi, di per sé, costituisca un atto contrario alla pubblica decenza, il Giudice arriva ad escluderlo, ritenendo che la società sia ormai matura abbastanza per poter accettare la nudità e che pertanto il nudismo sia una pratica «inoffensiva» anche se svolta in un luogo pubblico.
Occorre valutare se, nella situazione delineata, il nudismo integrale rappresenti o meno un atto contrario alla pubblica decenza, intesa, quest’ultima, come quel complesso di regole minime di convenienza e di decoro che conformano la convivenza sociale in un certo momento storico, la violazione delle quali susciti nella generalità fastidio o repulsione.
E’ fuori di dubbio che il bene immateriale tutelato dalla norma (al pari di altro analogo quale il pudore di cui agli artt. 527 e 529 c.p.) è destinato a seguire l’evoluzione culturale e del costume della compagine sociale e, dunque, a mutare nel tempo. Nella valutazione di tale mutamento non si può prescindere dalla constatazione che, in particolar modo nel momento storico attuale, un elemento che concorre a delineare il livello del comune sentimento di decenza è rappresentato dalle condizioni ambientali in relazione alle quali può essere attinto. […]
L’osservazione diretta dell’attuale realtà sociale dimostra che ad una sempre più rapida modificazione dei costumi, di cui è possibile prendere atto anche solo notando la dilagante esposizione (spesso con un esplicito richiamo erotico) del nudo – nelle rappresentazioni cinematografiche o televisive, nelle riviste e nei periodici a larga diffusione – si accompagna una generalizzata sensibilità nei confronti di fenomeni innovativi del costume sociale in senso liberale.
Prevale, cioè, anche di fronte ad atteggiamenti non condivisi dall’uomo medio, il rispetto dell’altrui libertà e, dunque, la tolleranza anche verso forme di estrinsecazione della personalità inconcepibili fino a non molto tempo fa. Questa generalizzata patente di liceità che la collettività riconosce a tutto ciò che, anche se talora addirittura giudicato come disvalore, non lede i diritti altrui, è un dato di fatto del quale, nella misura in cui contribuisce a formare la coscienza collettiva ed il costume, non può non tenersi conto, indipendentemente da ogni giudizio morale. Infatti, non è compito del giudice valutare se il mutamento del costume rappresenti una evoluzione o una involuzione del costume, dovendo egli limitarsi, alla stregua del dettato normativo, a registrare in che misura un certo comportamento che riguarda la sfera della decenza sia accettato dalla collettività.
Ritiene questo Giudice che per le argomentazioni ora svolte, in particolare per quella generalizzata e crescente tolleranza nella realtà sociale verso la “diversità” purché non imposta indiscriminatamente e non lesiva dell’altrui libertà, si debba concludere che il sentimento medio della collettività, che dimostra di tollerare ben altro genere di aggressioni alla sfera del decoro e del pudore ad opera dei mezzi di comunicazione, non sia affatto leso dalla pratica del nudismo nelle condizioni e con le modalità sopra descritte e che caratterizzano il caso di specie. Condizioni e modalità che fanno perdere al nudismo integrale l’idoneità lesiva del sentimento di decoro e di costumatezza proprio della maggioranza dei consociati e lo rendono, sotto questo profilo, inoffensivo, anche se svolto in un luogo pubblico quale è la spiaggia.
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